E' il gioco delle mutazioni e della presa di
distanza dalla morte.
Le immagini pensate da Oreste Zevola per "Il resto di niente",
- hanno un
pieno sapore di Settecento, sembrano arrivarci da un'Epinal
napoletana e
anche da prima. Sembrano esigere la musica l'opera buffa e anche
Handel
e Mozart- ma con ritmiche interruzioni di spari (di botti) e
sottofondi distanti
e per niente minacciosi di esplosioni ed eruzioni.
Dame e Sirene, Piovre e Santi, Navi e Carriole. E Teschi, e
Bombarde. Le
piante, i fiori, gli alberi, crescono invece dentro le persone
o ne ornano
sontuosamente e allegramente le vesti. Figure compiute che hanno
trovato
la loro definizione, non mutanti, sono solo alcuni animali appartenenti
stavolta
al regno marino, al mondo delle acque che sono, loro sì,
mobili e mutanti;
e le Signore della storia, gli Alti Prelati, i Soldati nell'esercizio
delle
loro Funzioni,circondati come di dovere da piccoli teschi che
ruotano, che
sembrano danzare.
Più che mai, Zevola si pasce di favoloso e di mitico
con leggerezza e assenza
di presunzione, bensì cercando un equilibrio, per quanto
transitorio. Sembra
libero da piani e programmi e però contento se trova
un ordine, se riesce
a fissare un movimento e se arriva a dettar condizioni ai venti
delle sue
interne, inesauribili suggestioni.
Anche i piccoli teschi giocano, come gli angeli fatti di teste
e ali del
canone cattolico che svolazzano nei paradisiaci quadri di più
secoli. Non
c'è tragedia, non c'è pathos, non ci sono ricatti
in queste immagini e in
tutta l'opera di Zevola, ma c'è la tenera malinconia
di un girotondo di forme
che possono fermarsi solo provvisoriamente, e di colori che
non provocano,
non s?impongono, non si mischiano. Un mondo intermedio, dove
l'eccesso è
vietato.
Quanto alla Storia, essa è un posto ormai lontano, ora
gli spiriti dei morti
si sono messi tranquilli e hanno fatto pace, alla Storia ci
giocano, o giocano
alla Guerra, come bambini.
Sono tornati a quell'inframondo da cui sono stati cacciati (o
hanno voluto
sortire per esplorare e provare) onde agire e soffrire dentro
il Mondo.
Oltre la musica, se un rimando alla letteratura bisogna farlo,
sarà al "Cardillo
addolorato" della Ortese, proprio per quel suo stare -del
cardillo- tra Storia
e Fiaba, dentro un balletto dolente; e anche il Cardillo è
figura di continua
mutazione, da umana ad animale a umana, e più-che-naturale,
non sovrannaturale,
anche se Oreste non sembra raccogliere di Ortese la lezione
del dolore, e
il suo è un mondo di oltre (prima/dopo/in mezzo/altrove)
che non ha voluto
entrare nella Storia o ne è fuggito per ritornare nel
gioco, e lì fermarsi,
lì dove l'umano si confonde con l'animale, con il vegetale
e con il meccanico
nella dolce nevrosi del rifiuto della coscienza e dei suoi doveri,
dopo averne
patito i costi.
Limbo di grazia (un nonsenso!), tenui presenze, figure vaganti,
spiriti che
sembrano manifestarsi dentro grandi stanze di palazzi deserti
con la luna
che entra furtiva dalle immense finestre, per ricordarci forse
la vanità
delle nostre ossessioni, e forse anche della nostra sete di
giustizia, di
vittoria in terra.
La libertà è la loro, sta nel loro scherzo privo
di solennità. "E' uno scherzo,
è uno scherzo, è tutto uno scherzo", ricordava
al piccolo Useppe, nella Storia
di Elsa Morante, un altro uccellino, sull'albero di una foresta
che sembrava
magica, ai margini di un fiume che sembrava favoloso.
Goffredo Fofi, Roma, 25 ottobre 2004